Un anno a dir poco turbolento, per Facebook. Iniziato con un database in vendita su Telegram con i dati di 500 milioni di utenti, per non parlare del j’accuse di Biden secondo cui i social come Facebook “uccidono le persone”, fino ai più recenti down anche a distanza di poco tempo, causati da errori interni. Ora il network di Mark Zuckerberg, deve vedersela con un’accusa pesantissima, proveniente da Frances Haugen, ex product manager di Menlo Park, nonché data engineer e product manager. La sua brillante carriera l’ha portata a lavorare in aziende quali Google, ed è coautrice di un brevetto per regolare il ranking dei risultati di ricerca. Nel 2011 ha conseguito un Master of Business Administration presso la Harvard Business School.
Insomma, non proprio una sprovveduta, come goffamente cercano di screditare a Menlo Park, come riporta The Verge. La Haugen viene reclutata dalla piattaforma di Zuckerberg nel 2018, l’anno successivo diventa product manager nel dipartimento di integrità civica di Facebook. Posizione che ha ricoperto fino allo scorso maggio. L’ex product manager ha raccolto documenti, diventando a tutti gli effetti un informatore anonimo, tutelata dallo studio legale senza scopo di lucro Whistleblower Aid.
I documenti raccolti da Frances Haugen hanno portato il Wall Street Journal a pubblicare The Facebook Files, un’indagine pubblicata in più parti, in cui si prendono in esame esenzioni per gli utenti di alto profilo, l’impatto sui giovani, sulle modifiche dell’algoritmo del 2018, sulla droga e sulla disinformazione sui vaccini. Fino ad allora l’ex dipendente di Facebook non si era mostrata in pubblico, salvo poi rivelarsi nel corso dell’intervista nella trasmissione 60 Minutes, trasmessa sulla CBS il 3 ottobre 2021. Nel corso dell’intervista, Frances Haugen ha discusso del programma di Facebook, noto come Civic Integrity (Integrità Civica), il cui scopo era porre limiti alla disinformazione e ad altre minacce. Civic Integrity secondo la Haugen venne sciolto nel 2020 in seguito le elezioni. Lo scioglimento secondo la data engineer, non solo sarebbe stato un “tradimento della democrazia”, ma avrebbe avuto come conseguenza l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
Un’altra accusa pesantissima lanciata dall’informatica, riguarda presunti conflitti di interesse tra “ciò che era buono per il pubblico e ciò che era buono per Facebook“. Secondo Haugen, la piattaforma avrebbe più e più volte optato per i propri interessi economici. La Haugen il 5 ottobre ha anche testimoniato davanti al sottocomitato del Comitato per il commercio del Senato degli Stati Uniti per la protezione dei consumatori, la sicurezza dei prodotti e la sicurezza dei dati. Nel corso del suo intervento, la cui dichiarazione è pubblicata integralmente sul proprio sito web, l’ex product manager ha spiegato i motivi per cui crede che i prodotti di Facebook danneggino i bambini, alimentino le divisioni e indeboliscano la democrazia.

L’intervento di Frances Haugen al Comitato per il commercio del Senato degli Stati Uniti
Nella dichiarazione la donna afferma di essere certa che i vertici dell’azienda sappiano come rendere Facebook e Instagram più sicuri, ma che non sia interessata a farlo perché antepone i profitti da lei definiti astronomici davanti alle persone. Per questo motivo richiede un’azione da parte del Congresso. Nel corso dell’intervento ha citato il down mondiale subito dal colosso del Web. “Per più di 5 ore — commenta la Haugen — Facebook non è stato utilizzato per approfondire le divisioni, destabilizzare le democrazie e far sentire male le ragazze e le donne per il proprio corpo“. Non dimentica nemmeno le attività paralizzate dal crollo del social network, di WhatsApp e Instagram, affermando che “milioni di piccole imprese non sono state in grado di raggiungere potenziali clienti e innumerevoli foto di neonati non sono state celebrate con gioia da familiari e amici in tutto il mondo“.
Il lavoro dell’ex product manager di Facebook
Nonostante ciò l’informatica, continua a credere nel potenziale della piattaforma. Nella dichiarazione, la donna racconta la propria esperienza, iniziata nel 2006, che l’ha portata a lavorare presso Google, Pinterest, Yelp e appunto Facebook. Il lavoro della donna si è in gran parte concentrato sui prodotti algoritmici, come Google+ Search e sistemi di raccomandazione come quello che alimenta il feed di notizie di Facebook. Secondo la trentasettenne, le scelte raggiunte all’interno del social di Zuckerberg sono disastrose per i ragazzi, per la sicurezza, per la privacy e per la democrazia. Motivi per cui andrebbe chiesto ai diretti interessati di apportare delle modifiche.
Nell’intervento, oltre ad aver ribadito quanto precedentemente riportato, secondo cui il social agirebbe all’interno di continui conflitti di interesse, avrebbe anche fatto emergere il problema secondo cui nessuno al di fuori del social network, sappia cosa succeda al suo interno. L’azienda nasconderebbe informazioni importanti al pubblico, al governo degli Stati Uniti e di tutti i governi del mondo. Secondo la Haugen, i documenti forniti al Congresso dimostrerebbero che l’azienda avrebbe “più volte fuorviato il pubblico su quello che le ricerche rivelano sulla sicurezza dei bambini, sull’efficacia dei suoi sistemi di IA sul ruolo nel diffondere messaggi divisivi ed estremi“.
L’obiettivo della ex product manager Frances Haugen
Lo scopo della product manager è quella di rendere Facebook più trasparente preoccupata del fatto che, se non si agisce, l’azienda potrebbe continuare a intraprendere scelte che andranno contro il bene comune. Per la Haugen, Facebook modella la percezione del mondo con la scelta delle informazioni illustrate. Persino chi non utilizza Facebook sarebbe influenzato dalla maggioranza che lo fa. Questo potere andrebbe dunque supervisionato, secondo quanto riferisce la donna statunitense. La Haugen cita inoltre Google, azienda tecnologica come altre in cui qualsiasi ricercatore indipendente può scaricare i risultati di ricerca dell’azienda e scrivere articoli su ciò che trova. Cosa che non accade sul social network di Zuckerberg. La product manager fa un parallelismo con le aziende di tabacco, che inizialmente affermavano che le sigarette con filtro fossero più sicure, salvo poi essere smentite dagli scienziati e raddrizzare il messaggio e il marketing delle stesse. Dunque con il suo intervento, la donna chiede un intervento del Congresso per porre fine a quanto da lei denunciato.
Embed from Getty ImagesMa da dove nasce la battaglia di Frances Haugen?
Come riporta The Guardian, qualcosa è scattato nella trentasettenne dell’Iowa per via di un’amicizia importante giunta al termine, per via della ossessione nata su alcuni forum online di un suo amico sulle teorie cospirative, che lo hanno trascinato in un mondo di occultismo e nazionalismo bianco. Mondo che poi avrebbe comunque abbandonato. Così ecco la sua lotta alla disinformazione, che l’ha portata a lavorare per il social network di Zuckerberg. Salvo poi trovarsi sgomenta per via scioglimento della “task force” contro la disinformazione e gli avvenimenti di Capitol Hill. Cose per cui l’hanno spinta a contattare i giornalisti del WSJ. Nel frattempo Facebook affermava di aver investito molto in termini economici e di personale nella lotta alle minacce, ma non secondo la Haugen. E pensare che, come lei stessa riporta sul suo sito web, si sarebbe iscritta a Facebook poiché pensava che il social di Zuckerberg abbia il potenziale di tirare fuori il meglio di ognuno.
Le reazioni a caldo e il post di Mark Zuckerberg
Dopo l’udienza, il senatore Richard Blumenthal, Presidente della sottocommissione per il commercio, ha affermato che la Haugen non vuole “bruciare completamente Facebook” ma aggiustarlo. Un senatore del Massachusetts, Edward Markey , ha definito Frances Haugen “un eroe americano del XXI secolo“. Ovviamente, di diverso parere Facebook.
Ore dopo la fine dell’intervento della Haugen, Mark Zuckerberg è intervenuto direttamente in un prolisso post sul proprio profilo personale, mettendo a tacere le voci secondo cui il numero uno si sarebbe nascosto dalle accuse e dal terremoto di questi giorni. Il post inizia con “la recente copertura perché semplicemente non riflette l’azienda che conosciamo“. Secondo Zuckerberg il lavoro sarebbe travisato, così come le proprie motivazioni.
Il numero uno di Menlo Park afferma che l’azienda tiene molto a questioni quali sicurezza, benessere e salute mentale e che “molte delle affermazioni non hanno alcun senso“. Senza mai citare direttamente Frances Haugen, Zuckerberg rispedisce al mittente le accuse. Secondo l’imprenditore, gli sforzi dell’azienda sono in totale contrasto con quanto riferito dall’ex product manager. Inoltre riferisce che è già stata effettuata una modifica all’interno del feed delle notizie, cambiamento che avrebbe mostrato meno video virali e più contenuti di amici e familiari, ben consci che gli utenti avrebbero trascorso meno tempo sul social network, ma la ricerca che ha portato a questo intervento, avrebbe suggerito fosse necessario per il benessere delle persone.
Embed from Getty ImagesInstagram aiuterebbe i giovani anziché danneggiarli
La risposta più aspra e rispedita al mittente è quella rivolta al tema bambini. Mark Zuckerberg rivendica Messenger Kids, un’app di messaggistica rivolta ai più giovani e della messa in pausa di Instagram Kids in favore di un sistema di supervisione. L’imprenditore di White Plains ha definito come errata la caratterizzazione della ricerca su come Instagram colpisca i giovani. Cita il post a riguardo in Newsroom (che si può trovare qui), in cui secondo i dati in possesso di Facebook, gli adolescenti ritengono che l’uso di Instagram li aiuti nei momenti di difficoltà. Secondo Zuckerberg inoltre, le ragazze adolescenti hanno affermato di aver lottato con problemi di ansia, tristezza e disturbi alimentari, e che Instagram ha reso quei momenti difficili migliori, anziché peggiori.
La preoccupazione di Zuckerberg
Il lungo post termina con una considerazione sul fatto che le aziende private non dovrebbero prendere decisioni da sole, e che è sì necessario un aggiornamento delle normative su Internet e l’età minima per l’utilizzo (cosa affrontata per altro anche su Instagram, insieme a “Limiti“). Tanto che lo stesso Zuckerberg si difende dalle accuse, riferendo di aver chiesto al Congresso di aggiornare i regolamenti. Rimane comunque “preoccupato” e “scoraggiato” perché le accuse vengono prese da un lavoro “preso fuori contesto” e “usato per costruire una falsa narrativa” a cui l’azienda non è interessata.
Dove sta la verità?
Da una parte una donna caparbia e estremamente competente nel suo campo, che ha lavorato per un’azienda da cui si è sentita tradita, a causa dello scioglimento di un progetto in cui credeva fermamente. Una product manager che al Congresso rivolge a Facebook una serie di accuse pesanti, sostenute da migliaia di pagine condivise con giornalisti e studi legali che sostengono i Whistleblower. Dall’altra un ex capo che ha stravolto (in meglio o in peggio ai posteri l’ardua sentenza) la comunicazione moderna e che le risponde a tono, a tratti anche aspramente, senza mai nominarla in modo diretto. Come del resto la stessa Haugen nel suo discorso, non ha mai citato direttamente Zuckerberg, seppur sottintendendone la responsabilità in quanto numero uno dell’azienda. Si dice che la verità stia nel mezzo, ma una cosa è certa. Qualcosa si è mosso e si sta scrivendo un’ulteriore pagina, decisamente importante, della storia dei social network e della comunicazione.
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