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Crisi dei chip, cos’è e quali sono i rischi e opportunità

In un mercato degli smartphone in ripresa, come riportato dai dati delle vendite del primo trimestre del 2021, aleggia una minaccia, ed è la crisi dei chip. Se ne sente parlare spesso, ma di cosa si tratta in realtà, e quali sono i rischi e i pericoli dell’incombente minaccia? Scopriamolo insieme.

Incominciamo dicendo che non è una crisi che riguarda solo gli smartphone, ma anche (e per ora soprattutto) il settore automotive, elettrodomestici e console di videogiochi. Una problematica trasversale e che sta portando le aziende di elettronica di consumo a ritardi e slittamenti. Basti vedere le problematiche con le vendite della PlayStation 5 di Sony, ma per utilizzare un esempio relativo al mondo degli smartphone, basti pensare allo slittamento della linea Note di Samsung, rimandata al 2022. Ciò è dovuto proprio alla crisi dei chip. Samsung in particolare, è la seconda azienda del pianeta per quanto riguarda il consumo, ma anche grande produttore: sono 56 miliardi di dollari gli introiti per le vendite dei chip a terze parti.

crisi dei chip, Intel
Secondo Intel, la crisi dei chip potrebbe durare due anni.

Oltre alla crisi dei chip, che il CEO di Intel prevede possa durare altri due anni, vi è anche in atto “la guerra dei microchip”. Sono svariati i settori che si trovano bloccati nei cosiddetti colli di bottiglia dovuti principalmente alla maggior richiesta di componenti. La crisi è dovuta ad una richiesta maggiore, causata anche dalla pandemia, dal progresso tecnologico e dall’espansione del 5G, che richiede sempre più componentistiche. Senza dimenticare inoltre le tensioni tra USA e Cina, in particolare dovuta alla politica messa in atto dalla precedente amministrazione Trump.

Alla base un errore di calcolo dovuta alla pandemia

Per quanto riguarda la pandemia, come spiega bene AGI, è accorso un errore di calcolo. Le infezioni imperversavano e le aziende produttrici di semiconduttori hanno pensato di tagliare la produzione. Paradossalmente però, a causa delle restrizioni e dello smart working, è aumentata la richiesta di prodotti tecnologici, per l’intrattenimento, lo studio e per il lavoro: PC, televisori, smartphone e tablet hanno subito un’impennata delle vendite. Maggiori richieste + minor produzione = crisi dei chip.

Ma concretamente, quali sono i rischi della crisi dei chip?

Ad esempio, secondo quanto riporta Il Giorno, la Candy (stabilimento di Brugherio) del gruppo Haier, si è dovuta fermare due settimane in aprile, con la previsione di fermarsi per un periodo simile anche nel mese di maggio. Il motivo? Proprio la mancanza dei microchip. Questo è solo uno degli esempi del nostro Paese, ma guardando fuori dai confini nazionali, in Giappone, la Subaru chiuderà lo stabilimento di Yajima proprio a causa della difficoltà dell’approvvigionamento dei semiconduttori, necessari per la produzione di auto. Secondo quanto riferito dalla stessa casa, la produzione riprenderà il 10 maggio. Ma l’esempio di Subaru è solo uno dei tanti, anche Mercedes e Volkswagen non navigano in acque tranquille. Dal 3 al 10 maggio, lo stabilimento di Melfi di Stellantis, starà fermo per via del Covid-19 e della carenza dei semiconduttori, per guardare in Italia.

Golden Power, l’intervento del Governo Italiano

Il Golden Power è il potere dell’esecutivo di tutelare quelle attività considerate strategiche, ovvero operanti nelle Comunicazioni, nella Sicurezza, nell’Energia, etc. Ma cosa c’entra con la crisi dei chip? Questo termine, Golden Power, è tornato recentemente in auge in seguito all’opposizione del Governo Draghi all’acquisizione del 70% dell’azienda italiana di Baranzate Lpe da parte della cinese Shenzen Invenland Holdings. Quest’ultima, specializzata nell’ambito dei semiconduttori, ha tentato di acquisire le quote di Lpe, che è invece dedita al power management/power saving, cruciale per il settore dei microchip.

Il motivo per cui l’affare non è andato in porto, secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, è espresso da questa dichiarazione: «un rischio eccezionale per gli interessi pubblici relativi alla continuità degli approvvigionamenti di dispositivi elettronici a semiconduttore per una pluralità di ambiti (tra cui infrastrutture energetiche, intelligenza artificiale, 5G, IoT, per menzionare quelli individuati come strategici dalla normativa nazionale ed europea)»

Quali sono invece le opportunità?

Ma come sosteneva Turgenev, la felicità di ciascuno è costruita sull’infelicità di un altro. Infatti i produttori di chip o chi produce attrezzature per produrre semiconduttori, come Besi, brand olandese, stanno registrando ordini elevati. Il marchio infatti ha ricevuto ordini record per un totale di 327 milioni di euro, con una crescita del 108% rispetto al trimestre precedente, come riporta Il Giorno.

Dall’altra parte del mondo, Taiwan, dove vi è la maggior sede produttrice di semiconduttori al mondo, la TSMC, che nel portfolio clienti vanta Apple e Qualcomm, ha fatto sapere che ha approvato un investimento di tre miliardi di dollari per aumentare la capacità produttiva, ma non è detto che l’offerta continui nel prossimo anno, come riporta l’Huffington Post.

Ma perché non creare una propria fonderia, in USA ed Europa? Semplicemente per una mancanza di tempo e di fondi. Per aprire una sede che possa produrre chip servirebbero miliardi di dollari e almeno due anni di lavori. E al momento non sembra una soluzione praticabile, anche perché le spese di mantenimento di una fabbrica in USA sono estremamente più esose rispetto ad una fabbrica in Asia.

Il futuro della crisi dei chip tra Europa e USA

Dopo aver esposto i dati, riportati dalle testate giornalistiche più attendibili, è possibile avere in mente un quadro della situazione. Chi produce chip, sta vivendo l’età dell’oro, ma paradossalmente chi li richiede è in forte crisi. A farne più le spese il settore automotive e degli elettrodomestici, mentre invece, per il momento, smartphone e PC non sembrano sentire ancora della crisi, dacché le vendite sono aumentate, ma i brand sono già in guardia.

Nel mentre USA ed Europa, con straordinario ritardo, stanno procedendo alla ricerca di una soluzione per fronteggiare la crisi. Se gli USA partono però con un moderato vantaggio, in quanto hanno una produzione interna di chip (leggi alla voce Intel) in Europa manca un vero e proprio player, seppur non si è totalmente a digiuno, grazie proprio al settore automotive. Resta però il fatto che il Vecchio Continente e il Nuovo Mondo, si sono scoperti fortemente dipendenti dalla produzione asiatica. Inoltre, secondo quanto riporta Business Insider, la Cina deterrà il 40% della nuova capacità produttiva nei prossimi dieci anni.

I piani di USA ed Europa

Per il futuro l’amministrazione Biden ha messo in campo 50 miliardi di dollari per la prossima generazione di chip da 2 nanometri, per scongiurare carenze di semiconduttori e allontanare il pericolo di tensioni con la Cina e Taiwan per la sua vicinanza con la stessa. Anche l’Europa sta investendo in tal senso. Per ora niente di concreto, ma si attendono aggiornamenti per i prossimi giorni, con un’iniziativa che vedrà un’alleanza strategica dei Paesi europei per espandere la propria capacità produttiva di semiconduttori.

E se la crisi dei chip colpisse duramente il mondo mobile?

Abbiamo già visto come il settore automotive sia il più duramente colpito dalla carenza di semiconduttori. Cosa succederebbe se colpisse anche il mondo di smartphone e tablet? Dovremmo investire nell’economica circolare. Ovvero comprando prodotti tecnologici ricondizionati o usati, che è anche un comportamento propedeutico ad una scelta green. Comprando un dispositivo usato o ricondizionato, si eviterà di produrre nuovi dispositivi, utilizzare materie prime che scarseggiano e avviare processi produttivi inquinanti per l’ambiente, oltre a scongiurare un consumo d’acqua elevato.

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Ad ogni modo per il momento non sembra una problematica in grado di impensierire i produttori di smartphone, in particolare i player cinesi, che negli ultimi tempi stanno letteralmente inondando il mercato globale di tantissimi smartphone dalle mille varianti. Ma sarà lo stesso anche per gli altri produttori? Da una parte Samsung ha già slittato la produzione della linea Note, seppur l’azienda stessa viva principalmente della produzione di microchip a terzi. Ma come cambieranno le cose da qui ai prossimi mesi? Staremo a vedere.

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Giornalista pubblicista, SEO Specialist, fotografo. Da sempre appassionato di tecnologia, lavoro nell'editoria dal 2010, prima come fotografo e fotoreporter, infine come giornalista. Ho scritto per PC Professionale, SportEconomy e Corriere della Sera, oltre ovviamente a Smartphonology.