Tower Dump e privacy: il Dipartimento di Giustizia USA chiede più tempo per decidere se difendere una pratica controversa

Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha richiesto una nuova proroga per valutare se impugnare una sentenza che potrebbe segnare una svolta nella tutela della privacy digitale. Dopo aver già ottenuto una sospensione di 90 giorni, martedì 17 giugno ha chiesto un ulteriore mese per stabilire se presentare ricorso contro una decisione storica che ha dichiarato incostituzionali i cosiddetti tower dump.

Cosa sono i tower dump

I tower dump rappresentano una tecnica investigativa molto diffusa tra le forze dell’ordine americane. Consiste nell’acquisizione in blocco dei dati raccolti da una torre cellulare in un determinato intervallo temporale, con l’obiettivo di individuare i movimenti dei dispositivi mobili presenti nell’area durante la commissione di un reato. Questo significa però anche raccogliere informazioni sensibili su persone del tutto estranee ai fatti, che si trovavano semplicemente nei paraggi.

Il caso Mississippi e la decisione del giudice Harris

Il caso in questione è nato da un’indagine dell’FBI nel Mississippi, relativa a una serie di sparatorie e furti d’auto legati a una gang criminale. Gli agenti avevano richiesto, tramite quattro mandati sigillati, l’accesso ai dati di diverse celle telefoniche. Tuttavia, il giudice federale Andrew Harris ha rigettato le richieste più volte, anche dopo che il Dipartimento di Giustizia aveva fornito ulteriori chiarimenti e aveva partecipato a una conference call per rispondere ai dubbi del tribunale.

A febbraio, Harris ha emesso un’ordinanza che ha fatto notizia: secondo il giudice, la richiesta di accedere a un “intero pagliaio” nella speranza di trovare un “ago” viola il Quarto Emendamento della Costituzione americana, che tutela i cittadini da perquisizioni e sequestri irragionevoli. La sentenza ha esteso l’orientamento già emerso in una decisione di agosto 2023, con cui una corte federale aveva dichiarato incostituzionali i cosiddetti geofence warrant (richieste a Google per dati sulla posizione dei dispositivi in una determinata area e orario).

Una decisione che potrebbe cambiare tutto

L’ordinanza di Harris rappresenta il primo caso in cui un giudice statunitense ha bloccato formalmente l’uso dei tower dump come metodo investigativo. A marzo, i procuratori avevano chiesto e ottenuto una sospensione dell’ordinanza, preannunciando l’intenzione di impugnarla. Tuttavia, la nuova richiesta di proroga non contiene riferimenti espliciti a un possibile ricorso, limitandosi a domandare tempo per “determinare i prossimi passi”. Nel frattempo, le forze dell’ordine continuano a utilizzare questa tecnica. Un esempio recente riguarda alcune indagini su incendi dolosi ai danni di veicoli Tesla, in cui sono stati richiesti i dati delle celle telefoniche vicine al luogo degli eventi.

Il nodo della privacy

La vicenda riapre un dibattito acceso tra esigenze investigative e diritti fondamentali. La possibilità per lo Stato di accedere indiscriminatamente ai dati di migliaia di persone sulla base di un sospetto genera forti perplessità. Per la difesa dei diritti civili si tratta di una sorveglianza di massa mascherata da attività investigativa. La decisione del Dipartimento di Giustizia, attesa nelle prossime settimane, potrebbe fissare un precedente importante non solo negli Stati Uniti, ma anche a livello internazionale. Se la sentenza di Harris dovesse essere confermata, le forze dell’ordine sarebbero obbligate a rivedere radicalmente le modalità con cui utilizzano i dati raccolti dalle torri cellulari.

E in Italia? Tecniche simili ma più controllate

Anche in Italia strumenti simili ai tower dump vengono utilizzati, ma con forti limitazioni normative. Le autorità possono accedere ai dati di traffico e localizzazione cellulare solo per reati gravi, previa autorizzazione di un giudice, e sempre nel rispetto del principio di proporzionalità. La disciplina è regolata principalmente dal Codice della privacy (D.lgs. 196/2003, art. 132), modificato in attuazione del GDPR, e dal Codice di procedura penale.

Inoltre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con una serie di sentenze del 2020 (tra cui C-511/18 La Quadrature du Net e a.), ha stabilito che la conservazione generalizzata e preventiva dei dati di traffico e localizzazione è contraria ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dell’UE. Di conseguenza, le richieste devono essere mirate, motivate e legate a indagini concrete.

Secondo il Garante Privacy italiano, “la raccolta massiva di dati di localizzazione, se non giustificata da esigenze specifiche e proporzionate, comporta rischi significativi per i diritti degli interessati”¹.

Un equilibrio fragile

La vicenda americana e la riflessione sul contesto europeo evidenziano un nodo irrisolto tra esigenze investigative e diritti fondamentali. Mentre negli Stati Uniti la giurisprudenza inizia a restringere l’uso delle tecnologie di sorveglianza di massa, in Europa esistono già vincoli normativi più rigidi. Resta da capire se le autorità statunitensi decideranno di difendere una pratica sempre più contestata, o se sceglieranno di allinearsi a un approccio più garantista.

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Giornalista pubblicista, SEO Specialist, fotografo. Da sempre appassionato di tecnologia, lavoro nell'editoria dal 2010, prima come fotografo e fotoreporter, infine come giornalista. Ho scritto per PC Professionale, SportEconomy e Corriere della Sera, oltre ovviamente a Smartphonology.