just setting up my twttr
— jack (@jack) March 21, 2006
Una delle più grandi capacità che differenziano l’uomo dal resto del regno animale, è l’abilità di lasciare ai posteri documenti e prove scritte della propria esistenza. Inizialmente con i primi graffiti e i numeri, poi fino a vere proprie prime forme di scrittura, databili intorno al 3.200 AC (fonte), la storia della stessa è longeva e articolata. La necessità di comunicare con il resto della specie, ha visto nel corso della storia umana diverse rivoluzioni, dall’invenzione della stampa con Gutenberg, fino agli attuali social media di Zuckerberg e Twitter. Se le prime prove della nascita della scrittura sono spesso conservate in siti archeologici, atenei o musei, qualcosa di diverso accade con i social media. Già, perché numero uno di Twitter, Jack Dorsey, ha messo in vendita il suo primo tweet.
Jack Dorsey ha messo in vendita il suo primo tweet
Se inizialmente i primi testi erano di natura economica e contabile (fonte) e quindi non particolarmente memorabili, lo stesso si può dire del primo tweet, che vede il creatore del social network di microblogging alle prese con la configurazione del suo account. Questo può avere un valore? Per Jack Dorsey evidentemente sì, dal momento che ha deciso di vendere il suo primo cinguettio. E non solo secondo lui. Infatti sulla piattaforma Valuables by CENT (specializzata nella vendita di messaggi), si trovano tantissimi tweet in vendita. Per inciso, il messaggio di Dorsey è arrivato all’offerta capogiro di 2,5 milioni di dollari.
— Burnt Banksy (@BurntBanksy) March 3, 2021
La moda degli NFT, Non-fungible Token al via
Ma cosa vuol dire acquistare un tweet? Spiegato in parole drammaticamente semplici, è pari ad acquisire una copia autografata di un’opera autentica. Per spiegarlo meglio, in modo molto blasfemo, paragoniamo il tweet ad un’opera d’arte; questa potrà essere prodotta in mille copie, ma quella autentica e firmata sarà sempre e solo una, nonché quella con più che probabilmente il maggior valore. Lo stesso vale per i tweet, che rimarranno comunque fruibili sul social media, ma la cui proprietà diventa di un altro individuo. Sarà inoltre certificata attraverso la blockchain; il tweet diventerà quindi un NFT (fonte), cioè Non-fungible token, ovvero un bene digitale, con un preciso valore e quindi autentico. È vero, Jack Dorsey ha messo in vendita il suo primo tweet, ma la vendita di beni digitali non è una novità. Persino la gif di Nyan Cat è stata venduta come NFT al prezzo di 600.000 dollari (fonte) e così via.
NFT: Burnt Banksy e “Morons” in fumo
Ma le NFT possono anche essere vere e proprie opere d’arte. Ritratti, disegni o… opere di Banksy. Proprio recentemente una creazione dell’artista britannico è stata digitalizzata e trasformata in NFT, per poi bruciare quella originale. La serigrafia, acquistata dalla società di blockchain Injective Protocol per 95.000 dollari, una volta diventata una NFT, è stata poi venduta per 380.000 dollari su un’altra piattaforma per la vendita di Non-fungible token.

Finché si tratta di tweet, il pericolo in cui si incorre è quello di spendere soldi per un testo scritto impalpabile. Mal che vada si spenna quanti più soldi possibili ai più ingordi collezionisti di beni digitali. Ma dopo la digitalizzazione della serigrafia di Banksy e la relativa distruzione, il valore è passato dai 96.000 dollari all’acquisto in una galleria di New York ai 380.000 dollari per la versione digitale. Il rischio è che il gesto di Injective Protocol venga emulato, per speculare su opere d’arte di ogni genere.
L’ironia e la lungimiranza di Banksy
La cosa ironica in tutto ciò? L’opera d’arte bruciata, “Morons“, con datazione al 2007, raffigurava (o raffigura?) la scena di un’asta riservata ai collezionisti, in cui un messaggio posto all’interno di un’opera recita: “Non posso credere che voi coglioni compriate davvero questa merda“.
Chissà cosa penserebbe Banksy, di questa nuova forma di collezionismo digitale.
Lascia un commento