De André cantava: “Dai diamanti non nasce niente/Dal letame nascono i fior“. Volendo trovare qualcosa di positivo in seguito alle reazioni scaturite dal femminicidio di Giulia Cecchin, è il rumore che ha generato l’indignazione, lo sgomento e il dolore che la brutale scomparsa della giovane, ha provocato. Proprio come racconta De André, da queste terribili settimane di cronaca, sta nascendo un fiore quale la consapevolezza che unisce uomini e donne nella lotta alla violenza di genere.
Il 25 novembre le colleghe del Corsera hanno raccontato uno splendido speciale dedicato a Giulia, in cui nessuna tematica che verte attorno alla violenza sulle donne è stata lasciata al caso. Le penne Chiara Severgnini e Greta Sclaunich hanno illustrato il positivo e il negativo emersi dai social. Ovvero l’organizzazione, gli appelli, le spiegazioni. Tuttavia, è giusto notare come, nel bene e nel male, i social media siano specializzati nel polarizzare le opinioni. E questo è un grande problema, specie quando si ha la necessità di far capire agli uomini l’importanza della condivisione di principi e idee che nella nostra epoca, dovrebbero essere pacifiche e naturali. Ma come si fa a scardinare quelle bolle di ferro che gli utenti, incitati dai social, inconsapevolmente si creano attorno?
Bisogna prima capire come ciò avviene. Le piattaforme social sfruttano algoritmi che mostrano ai propri utenti i contenuti per loro interessanti. Giorno per giorno il proprio feed, persino negli annunci pubblicitari, mostrano post, immagini e video “su misura” del fruitore. In questo modo può venirsi a creare una “bolla di filtro”, in cui gli iscritti consultano contenuti che rafforzano le proprie opinioni e credenze preesistenti. Questo perché l’utente, su suggerimento dei social stessi, tende ad effettuare una selezione dei profili che condividono i propri interessi, le proprie opinioni e convinzioni, che vengono dunque rinforzate e narrate da un punto di vista meno eterogeneo. Facciamo un esempio. Se un utente dovesse iscriversi ad un gruppo chiuso (e su social come Facebook, sono un numero sterminato) le informazioni che vi girano all’interno (vere o false che siano) possono rimbalzare senza poter essere contestate, confutate o equilibrate da diverse prospettive. In questo modo, le opinioni potrebbero polarizzarsi, creando quella che viene definita una eco-camera.
Ed è qui che potrebbe verificarsi quel che viene definito poi bias di conferma. Ad esempio, se di uno stesso argomento leggiamo due opinioni valide, ma in antitesi l’una con l’altra, un utente che ha sempre e solo perseguito le proprie convinzioni nella propria “bolla” tenderà ad escludere a priori l’articolo che contraddice le proprie convinzioni, enfatizzando invece chi supporta la propria tesi. Infine, come se non bastasse l’azione dei social media, entra in gioco anche l’utente stesso. Si può verificare infatti il rischio che i social possano esacerbare la polarizzazione, attraverso dinamiche di gruppo e pressioni sociali. In questo modo gli utenti possono sentirsi obbligati a conformarsi alle opinioni dominanti nei propri feed. Ma come si fa a trovare un giusto equilibrio?
La risposta è semplice. Usando il pensiero critico. Bisognerà fare uno sforzo emotivo e uscire dal circolo vizioso dei social media e trasformarlo in un circolo virtuoso. Ponendosi delle domande senza pensare di avere sempre ragione. Porsi legittimi dubbi, che possono essere confermati o confutati. Ma anche conoscendo le logiche e le dinamiche dei social, per evitare di lasciarsi trasportare dalle ondate che esse generano e invece di essere la barca in balia delle onde, essere il remo che cerca di darle una direzione. Nel film Inception si cercava di entrare nei sogni delle persone per “innestare” un’idea. Ora è necessario entrare nei feed degli utenti, ma senza un minimo di consapevolezza e di pensiero critico, è difficile innestare un’idea nel proprio feed. Ma si può agire su chi commenta, anche negativamente. Sono proprio loro, quelli che si mettono in discussione. Non si farà loro cambiare idea: ma si potrà innestare in loro il seme del dubbio. Ed è l’unico ago che possiamo utilizzare, per far scoppiare la bolla.
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