In questi giorni Scientific American ha rilanciato uno studio pubblicato la scorsa estate sulla rivista Nature Conservation. Qui si descrive la presenza su TikTok di annunci che pubblicizzano carne ottenuta da animali selvatici, compresi pangolini e antilopi vulnerabili. L’analisi, svolta in Togo, evidenzia come i social media stiano ormai assumendo il ruolo di moltiplicatori del commercio illegale di fauna, ampliando la portata di un mercato già noto nei paesi africani e asiatici.
Il passaggio dai mercati fisici ai canali digitali
La carne di animali selvatici, definita bushmeat, rappresenta una componente della dieta e dell’economia locale in molti paesi africani. In origine si trattava di una pratica di sussistenza, ma il commercio ha assunto nel tempo un carattere sempre più urbano. Lo studio mostra che TikTok viene utilizzato da venditrici di Lomé per esporre pubblicamente carcasse affumicate e indirizzare i clienti verso ristoranti e punti di ritiro fisici. La dinamica non si limita alla promozione: la piattaforma diventa un vero vetrino pubblico, accessibile a un numero di utenti molto maggiore rispetto ai mercati tradizionali. La responsabile della ricerca di World Animal Protection, Angie Elwin, coautrice dello studio, spiega che TikTok permette ai venditori di raggiungere consumatori che non avrebbero avuto accesso ai mercati locali. La visibilità genera un circuito che normalizza la domanda e incoraggia un consumo commerciale potenzialmente insostenibile.
Cosa mostrano i video analizzati
Il team ha identificato 80 video pubblici, postati tra il 2022 e il 2024, provenienti da due account aperti. Le immagini presentano circa 3.526 animali appartenenti ad almeno 27 specie diverse. Tra queste compaiono specie minacciate come il pangolino dal ventre bianco, classificato come in pericolo critico e incluso nell’Appendice I della Convention on International Trade in Endangered Species (CITES). La presenza di specie vulnerabili o minacciate, come Buffon’s kob e Defassa waterbuck, suggerisce un mercato che attinge a popolazioni già in declino. Le specie più frequenti includono lucertole varano, scoiattoli di terra, francolini, faraone e roditori di grandi dimensioni, oltre ai pangolini. In alcuni casi i video mostrano decine di animali affumicati disposti in serie, con un approccio marcatamente commerciale.
Visibilità e normalizzazione del commercio
Nonostante la natura potenzialmente illegale di parte di questi contenuti, i video hanno raggiunto quasi 1,8 milioni di visualizzazioni. I commenti dimostrano interesse attivo, con centinaia di richieste di prezzo, ordini, domande su consegne e disponibilità di ulteriori specie, comprese quelle non presenti nei video, come serpenti, coccodrilli o scimmie. Una parte minoritaria degli utenti ha segnalato preoccupazioni etiche o legali, ma le risposte degli altri frequentatori mostrano scarsa consapevolezza delle norme o una loro deliberata rimozione. Alcuni commenti mettono in guardia sui rischi penali connessi ai pangolini, mentre altri liquidano tali avvertimenti come irrilevanti.
Rischi per la conservazione e la salute pubblica
Gli autori dello studio sottolineano come il commercio di bushmeat, alimenti pressioni dirette sulle popolazioni selvatiche. L’aumento della domanda urbana e la commercializzazione su larga scala contribuiscono alla riduzione di specie che già affrontano habitat degradati, bracconaggio e cambiamenti climatici. La ricerca ricorda inoltre che la manipolazione e il consumo di animali selvatici comportano rischi sanitari significativi. Epidemie come Ebola, HIV e SARS hanno radici in spillover zoonotici associati ai mercati di fauna selvatica. Diverse specie coinvolte nel commercio, dai roditori ai predatori di piccola taglia, sono considerate serbatoi ad alto rischio per virus emergenti.
La dimensione socioeconomica e culturale
Il lavoro di campo condotto da antropologi come Jack Jenkins, citato nello studio, osserva che in molti contesti dell’Africa occidentale la carne selvatica viene preferita per gusto, tradizione e disponibilità. I venditori coinvolti nel commercio urbano sono spesso donne, che ricavano dal bushmeat un sostegno economico essenziale. La ricerca mette in guardia contro politiche che non tengono conto di questa componente sociale, perché rischiano di produrre effetti controproducenti.
La questione della legalità e dell’enforcement
La normativa togolese prevede protezioni specifiche per alcune specie e limiti alle attività di caccia, ma il quadro legislativo resta frammentato. A questo si aggiunge una scarsità di controlli sul campo e la permeabilità delle frontiere regionali. TikTok, come altre piattaforme, vieta la pubblicazione e la vendita di specie protette nei propri regolamenti, ma lo studio documenta un’applicazione poco efficace di tali norme. Nel frattempo, Europa e Stati Uniti registrano sequestri ricorrenti di bushmeat proveniente dall’Africa occidentale, spesso trasportato in condizioni poco controllate. Lo studio non dimostra un collegamento diretto tra i video analizzati e il commercio internazionale, ma evidenzia la possibilità che il canale digitale faciliti anche una domanda esterna ai confini nazionali.
Il ruolo delle piattaforme digitali
Gli autori suggeriscono interventi più incisivi da parte delle piattaforme, che includano sistemi automatici di riconoscimento visivo dei contenuti illegali e una maggiore collaborazione con esperti di conservazione. L’obiettivo riguarda non solo la rimozione dei contenuti, ma anche la sensibilizzazione degli utenti attraverso campagne educative mirate.
Una tendenza che richiede attenzione crescente
La ricerca mostra come il commercio di bushmeat stia vivendo un nuovo ciclo espansivo grazie alla visibilità offerta dai social media. I casi documentati in Togo rappresentano un tassello di un quadro più ampio che coinvolge Africa occidentale, Asia e mercati globali. La normalizzazione di specie in via di estinzione presentate come prodotti alimentari su piattaforme popolari pone interrogativi urgenti sulla sostenibilità, sull’impatto sanitario e sul ruolo delle tecnologie digitali nel favorire o contrastare i reati ambientali.






































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