“Ragno”, così lo soprannominava il suo manager Tobia “perché era piccolo e peloso”. I due hanno iniziato a collaborare negli anni Settanta con una importante premessa: “Guarda che però non c’ho una lira”. Da lì la prima data, una festa di carnevale a Gallipoli, che si è conclusa con la sottrazione di un paio di Rolex (poi restituiti?) ai proprietari del locale dal braccino furbescamente corto. La prima apparizione televisiva? Ospite allo Zecchino d’Oro insieme alla mamma che lo percula per via della barba troppo lunga. Durante l’esibizione scivola e cade a terra ma un sapiente stacco di camera gli evita la figuraccia in Radio Televisione Italiana. Erano in pochi a credere in lui, nell’epoca in cui andavano per la maggiore cantanti belloni e rassicuranti come Mal e Gianni Morandi. “Eppure era convinto di poter fare tutto”, racconta ancora Tobia, visibilmente affezionato a questa strambissima creatura che ha avuto il destino di non diventare un mitomane qualunque ma di essere Lucio Dalla. Pietro Marcello, regista del premiatissimo Martin Eden con uno spettacolare Luca Marinelli, ha voluto omaggiare questa leggenda della musica italiana raccontandone le origini in “Per Lucio”, film documentario in sala come evento speciale il 5, il 6 e il 7 luglio prossimi venturi.
“Per Lucio” è un viaggio nella carriera di Dalla e nell’Italia in cui è nata e ha preso, coi suoi tempi, il volo. La voce prodigiosa di questo artista senza tempo fa da punteggiatura alle tante immagini d’archivio del Bel Paese che fu anche nei momenti tragici come la strage di Bologna del 1980, ultimo riferimento temporale a chiudere il racconto prima dei titoli di coda. Il racconto si fermerà pure lì, ma giusto quello. Tobia e Stefano Bonaga, filosofo e amico d’infanzia, impreziosiscono il lungometraggio – un’ora e diciannove minuti in totale – chiacchierando seduti a una tavola imbandita. Dalla conversazione escono aneddoti meravigliosi (no spoiler!) e una rivelazione: “Fra amici parliamo sempre di lui al presente perché Lucio è fuori dal tempo, Lucio c’è”.
Il fatto che Lucio ci sia e che sempre ci sarà non lo testimoniano “solo” le sue canzoni – “che anche fra 50 anni suoneranno attualissime”, dice Stefano e concordiamo – ma anche l’energia vitale di Dalla ogni volta che compare sullo schermo. Che sia per dire di aver lasciato perdere il jazz puro “perché non ci si guadagna una lira” o che se non avesse fatto il cantante sarebbe diventato sicuramente imbianchino, “perché mi affascinano i colori, soprattutto il bianco”, è di un’ilarità straripante. L’idea che Lucio Dalla fosse, anzi pardon “sia”, l’essere umano più variopinto che abbia mai varcato i cancelli dell’Olimpo dell’arte non abbandona lo spettatore per tutta la durata della proiezione. Alla fine del film, spiace solo non poterlo tirar giù dallo schermo per un vinello in osteria.
“Per Lucio”, dunque, va visto? In attesa del film omaggio di cui Cesare Cremonini sarà alla regia, assolutamente sì. Perché qui da noi non avremo la Marvel, ma abbiamo il supereroe più incredibile di tutti: l’uomo-ragno in cui nessuno credeva (manco la madre, considerato che da bimbo gli diceva “quanto sei brutto, ti do 100 lire se non ti fai vedere”) che diventa la stella polare della musica italiana. Un grandissimo artista, una leggenda indiscussa e indiscutibile che avrebbe potuto perfettamente rimanere un eterno sfigato. Ma che, contro ogni pronostico, era convinto di poter fare tutto. E l’ha fatto. In pratica, il supereroe che meritiamo di amare. Al cinema dal 5 al 7 luglio. “Per Lucio”.
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