Google finanzia l’IA di iNaturalist, ma la community si ribella

L’annuncio di un finanziamento da 1,5 milioni di dollari da parte di Google.org a iNaturalist, piattaforma collaborativa per l’identificazione delle specie, ha sollevato un’ondata di critiche tra i suoi utenti. Il progetto punta a integrare strumenti di intelligenza artificiale generativa (GenAI) per aiutare nella classificazione degli organismi, ma la comunità – composta da naturalisti amatoriali e professionisti – non l’ha presa bene.

Un aiuto controverso alla biodiversità

iNaturalist, fondata con l’obiettivo di avvicinare le persone alla natura attraverso la scienza partecipata, si appoggia già a un sistema di visione artificiale per proporre suggerimenti sulle specie da identificare. Il nuovo finanziamento da parte della filantropia di Google mira ad ampliare queste capacità: non solo riconoscere una pianta o un insetto tramite foto, ma spiegare il perché di una certa identificazione e sottolineare le differenze tra specie simili. Il piano prevede la creazione di un prototipo entro fine 2025.

L’idea è usare l’IA generativa per sintetizzare i contributi testuali della community, trasformandoli in spiegazioni accessibili per gli utenti meno esperti. Una visione che, almeno sulla carta, sembra coerente con lo spirito divulgativo di iNaturalist.

La rivolta della community

La reazione degli utenti è stata però immediata e veemente. Nella sezione commenti del blog ufficiale, sui forum e su piattaforme come Bluesky, molti si sono detti contrari all’iniziativa. Alcuni motivi sono tecnici: le allucinazioni dell’IA generativa potrebbero minare la precisione scientifica delle identificazioni. Altri riguardano l’etica: l’impatto ambientale dell’IA, che consuma grandi quantità di energia e risorse, è visto come contraddittorio rispetto agli obiettivi ecologici della piattaforma.

C’è poi una critica più profonda, quasi filosofica: l’automazione dell’identificazione potrebbe svalutare il lavoro umano dei tassonomi e dei volontari che costituiscono l’anima del progetto. Il rischio, secondo molti, è che la piattaforma diventi più simile a un motore predittivo che a uno spazio di apprendimento comunitario.

Alcuni utenti hanno addirittura minacciato di cancellare i propri account, temendo che i dati raccolti vengano sfruttati da Google o utilizzati in modi non chiaramente comunicati.

Le precisazioni (insufficienti) di iNaturalist

Di fronte alla bufera, iNaturalist ha pubblicato un aggiornamento al post originale l’11 giugno, in cui ha promesso trasparenza e ha rassicurato la community sul fatto che i dati degli utenti non saranno ceduti a Google. Il team ha anche dichiarato che, se il prototipo avrà un impatto negativo sulla qualità dei dati o sull’ambiente, non verrà implementato.

In un post più dettagliato sul forum, il direttore esecutivo Scott Loarie ha ribadito che “non c’è alcuna intenzione di pubblicare contenuti generati dall’IA sul sito” e che l’obiettivo è sempre stato quello di supportare le competenze umane, non sostituirle.

Tuttavia, questi chiarimenti non hanno convinto tutti. Diversi utenti hanno fatto notare che non è ancora chiaro se iNaturalist intenda comunque proseguire nello sviluppo del GenAI e in quali modalità.

Un cortocircuito tra tecnologia e natura

Il caso iNaturalist mostra quanto sia delicato il rapporto tra tecnologia e tutela ambientale. Anche quando le intenzioni sono buone e il finanziamento arriva da una branca filantropica di una big tech, la fiducia della community non è scontata. Anzi, proprio il coinvolgimento di Google ha fatto scattare campanelli d’allarme.

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