i danni delle cripto-valute

Tutti i danni delle cripto-valute, tra mafie, morti e cambiamento climatico

Quel che sta succedendo in Kazakistan in questi giorni è anche conseguenza diretta dell’attività di mining in essere nell’ex repubblica sovietica. Questo perché per via dell’elevata intensità di cripto-mining, sono stati alzati i prezzi. Ciò ha portato a violente proteste con diversi morti tra agenti e manifestanti. Tutto questo ha portato anche all’instabilità del Paese, tanto che il governo si è dimesso. Ma da cosa è stato scaturito, tutto ciò? Le aziende che hanno a disposizione centinaia di Avalon Miner (estrattori di cripto-valute) e ora in Kazakistan, si sono trasferite in blocco dalla Cina da quando la Repubblica Popolare Cinese ha dichiarato illegali i Bitcoin e in generale le cripto-valute. Edward Lorenz si domandava se il battito d’ali di una farfalla in Brasile potesse provocare un tornado in Texas. Fatto sta che i Bitcoin, oltre al danno all’ambiente, stanno causando problemi ovunque. Ecco quali.

Le cripto-valute non sono sostenibili per l’ambiente

I Bitcoin non sono sostenibili per l’ambiente. Non è una novità e non era nemmeno necessario che tempo fa Elon Musk lo palesasse, causando per altro un crollo del valore. Secondo quanto riportato da Money.it, il mining di Bitcoin produrrebbe annualmente 37 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari al volume di un Paese come la Nuova Zelanda, e quasi 78 terawattora di consumo di energia elettrica, valore simile a quello dell’intero Cile. Basti pensare inoltre che secondo Fortune, acquistare del latte in Bitcoin consumerebbe 173 dollari di elettricità. Uno studio pubblicato su Nature ha inoltre riferito che nel giro di trent’anni, per via dell’attività di mining, la temperatura globale aumenterà di 2°C.

Sono il mezzo favorito dalle organizzazioni criminali per riciclare denaro…

Ma come se non bastasse, ci sono altri motivi per cui sono più un problema che una soluzione. Grazie alla difficoltà nel risalire alle transazioni, i Bitcoin e le loro alternative sono la valuta favorita per le attività illecite. Basti pensare che, come riporta L’Huffington Post, è un sistema prediletto dalle mafie per il riciclaggio di denaro. Tant’è vero che, secondo quanto riferito da AGI, nell’anno appena concluso sono stati 14 miliardi i dollari transati in cripto-valute tramite account legati ad attività criminali. Il doppio rispetto all’anno precedente.

… e quello preferito dai truffatori (o hacker)

Per non parlare delle truffe. L’intramontabile schema Ponzi si evolve e viene adattato anche per le cripto-valute. L’anno scorso a cavalcare l’onda del successo della popolare serie sudcoreana Squid Game, anche i cybercriminali. Non solo con ransomware, ma anche con SQUID, una nuova moneta virtuale che come ogni schema Ponzi, ha visto salire il suo prezzo grazie agli investitori, con tutti i token spariti prima, al massimo del prezzo, per poi perdere valore. La moneta virtuale ha visto un innalzamento del 230.000% del valore. Dopodiché è stata ritirata dal mercato senza che gli investitori potessero reclamare il proprio investimento.

Simboli delle cripto-valute.
Secondo Wikipedia, al mondo esistono 13.000 cripto-valute.

Caso non dissimile da quanto avvenuto in Turchia, quando Faruk Fatih Ozer, il fondatore di Thodex, un’agenzia di cambio di cripto-valute con sede a Istanbul, è letteralmente scappato con 2 miliardi di dollari di investimenti. Contemporaneamente, il Governo di Ankara aveva di fatto vietato l’acquisto di beni o servizi attraverso le cripto-valute.

Miliardi di dollari in fumo per le cripto-valute perse

La volatilità di Bitcoin inoltre, ha bruciato diversi miliardi di dollari. A risentirne tutti gli investitori, ma alcuni nuovi miliardari, divenuti tali grazie all’investimento nelle monete digitali, hanno visto lo scorso maggio sfumare quasi la metà del patrimonio, come riporta La Repubblica, per via delle dichiarazioni di Elon Musk, che inizialmente ha aperto ai Bitcoin come valuta per il pagamento delle auto Tesla, salvo poi tornare sui propri passi per via della insostenibilità ambientale della valuta digitale.

Ma non è solo la volatilità a rendere i Bitcoin un problema. Non si tratta di una moneta infinita. Secondo le stime, la valuta virtuale inventata dal fantomatico Satoshi Nakamoto, verrà prodotta per l’ultima volta nel febbraio del 2140. Il 90% è stato già minato, ma il 20% è stato perso per sempre. Ciò vuol dire che sono andati in fumo ben 185 miliardi di dollari, come riporta Il Sole 24 ore, semplicemente perché i possessori dei Bitcoin hanno perso la password oppure sono defunti senza poter condividere le credenziali prima del decesso.

Celebre il caso di James Howells, che nel 2013 a causa di un errore, cestinò un hard disk su cui vi erano memorizzati 7.500 Bitcoin minati dal 2009. Allora avevano un valore di circa 7 milioni e mezzo di dollari. Ora valgono più o meno 370 milioni di dollari. Ma la discarica dove l’hard disk è presumibilmente sepolto, ha negato l’autorizzazione per scavare e cercare la memoria esterna. Ciò provocherebbe un danno ambientale e non è detto che, nel caso si dovesse trovare l’hard disk, possa essere ancora funzionante.

La scommessa di El Salvador: il primo Stato che utilizza Bitcoin come valuta ufficiale

Ma se è vero che fino ad ora abbiamo parlato di disastri, c’è anche una scommessa in atto. La stabilità del Paese centroamericano El Salvador è sempre stata molto delicata, come del resto, quella del Bitcoin. Forse per questo il suo Presidente (o CEO, come ama definirsi) Nayib Bukele, classe ’81, ha voluto affiancare alla valuta ufficiale (il dollaro americano, subentrato dopo il fallimento del colón) proprio il Bitcoin. In realtà la mossa di Bukele è anche perlopiù politica. In questo modo i salvadoregni residenti all’estero potranno inviare i soldi in patria tramite Bitcoin senza dover pagare le transazioni a colossi come Western Union, etc.

A metà dicembre 2021 sono passati quattro mesi da quando il Governo del Paese ha istituito il Bitcoin come valuta corrente. La popolazione non è ancora abituata a questa nuova moneta digitale, ma il Presidente ne sta incentivando la circolazione anche ai più riluttanti attraverso offerte e vantaggi che fanno gola ad un popolo che tra povertà e violenza, ne ha subite di ogni. Le mire espansionistiche però non terminano qui. Allo stato attuale non si può dire che la mossa del “CEO” salvadoregno sia un insuccesso. Ma potrà avere una forte ricaduta sull’ambiente. Il prossimo obiettivo è quello di fondare Bitcoin City, una metropoli che sorgerà nell’Est del Salvador anche se sembra che la sua attività energetica sarà alimentata da un vulcano. Se la scommessa di Bukele sarà un successo o un altro disastro della moneta virtuale, potrà dirlo solo il tempo.

Qui Kosovo e Svezia

Se El Salvador punta tutto sui Bitcoin, un po’ per l’ambizione del “CEO” del Salvador un po’ per cercare di risollevare le sorti di un paese con un vissuto difficile, dall’altra parte ci sono Paesi come Kosovo e Svezia che non vedono di buon occhio il mining e le cripto-valute. Il Kosovo ha difatti vietato il mining per limitare il consumo di energia (e magari evitare di finire come il Kazakistan). Il novembre scorso invece le autorità di regolamentazione svedesi hanno domandato all’Europa di rendere fuorilegge il mining delle cripto-valute. Il motivo è stato spiegato in modo molto semplice. Come esempio è stato utilizzata un’auto elettrica di medie dimensioni che per percorrere 1,8 milioni di chilometri sfrutterebbe l’equivalente dell’energia necessaria per estrare un singolo Bitcoin. Sarebbe pari a 44 giri intorno al mondo. Senza contare che ogni giorno vengono estratti novecento Bitcoin. Un uso delle energie rinnovabili “non ragionevole” secondo gli svedesi.

L’instabilità del Kazakistan per via del mining di cripto-valute

In Kazakistan sono scoppiate le proteste, anche sanguinose e di cui si contano decine di morti, per via dell’aumento del costo della benzina. A scendere in campo anche le truppe di Putin, per aiutare il presidente del Kazakistan a sedare le rivolte. Ma la crisi colpisce anche l’elettricità e sembra che tutto sia dovuto all’estrazione delle cripto valute, quali Bitcoin ed Ethereum. Il Kazakistan è uno dei primi Paesi nell’attività di mining, che come abbiamo già visto, richiede un massiccio dispendio di energia. E il Paese è ricco di idrocarburi.

Molte aziende (legali ed illegali) di cripto-mining sono state attratte dal Kazakistan anche per via del basso costo del consumo energetico, dopo che si sono spostate dalle province cinesi. Secondo il Financial Times negli ultimi 12 mesi sono 88.000 le società che hanno traslocato, rendendo dunque il Paese il secondo al mondo dietro gli Stati Uniti nell’estrarre le monete virtuali. Ed ecco dunque il rialzo del consumo interno di energia, cresciuto secondo l’Huffington Post dell’8% dall’inizio del 2021. Ciò ha portato ad inasprire le misure contro chi effettua cripto-mining in modo non autorizzato, nel tentativo inoltre di arrestare le attività illegali, fautrici della crisi energetica in atto secondo il viceministro dell’Energia. Nel corso di questo mese l’amministrazione kazaka ha aumentato il costo energetico alle aziende che estraevano cripto-valute lecitamente, chiedendo un tenge, la moneta kazaka (secondo HP pari a 0,000200 euro) per ogni kilowattora consumato. Inoltre sarebbe stato previsto il razionamento dell’energia delle stesse compagnie al fine di ridurre la pressione sulla rete elettrica della capitale del Kazakistan, Nur-Sultan.

Ciò ha portato a decine di morti e le dimissioni del Governo. E tutto è partito da quando la Cina ha reso illegali le valute digitali, perché non sicure e prive di tutela per gli investitori. Non siamo a conoscenza di un tornado in Texas generato dal battito di ali di una farfalla in Brasile, ma è chiaro che se si rendono illegali le cripto-valute in Cina, si genera una protesta mortale in Kazakistan. Intanto però, secondo le stime di Goldman Sachs, il valore di Bitcoin potrebbe raggiungere i 100.000 dollari. Per le proteste, i morti e i danni ambientali, pazienza.

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Giornalista pubblicista, SEO Specialist, fotografo. Da sempre appassionato di tecnologia, lavoro nell'editoria dal 2010, prima come fotografo e fotoreporter, infine come giornalista. Ho scritto per PC Professionale, SportEconomy e Corriere della Sera, oltre ovviamente a Smartphonology.