Spotify

Listening is everything: a chi darà ascolto Spotify?

Ore di imbarazzo per Spotify. Un nuovo episodio è in atto dopo le polemiche di Neil Young, che ha mantenuto la propria promessa di eliminare la propria musica dalla piattaforma di streaming. Spotify infatti, non ha ceduto al “ricatto” del rocker e non ha preso provvedimenti contro il podcast “The Joe Rogan Experience” di Joe Rogan, reo di condividere tesi complottiste contro i vaccini e la Covid-19. Young ha dunque richiesto che la propria musica venisse eliminata, perché non può coesistere con i contenuti di Rogan. E non è il solo. Anche un’altra musicista ha seguito l’esempio del cantautore, ovvero Joni Mitchell. Anch’ella ha deciso di uscire da Spotify, poiché “persone irresponsabili, stanno condividendo falsità che stanno costando la vita delle persone“.

Un affare da 100 milioni di dollari

Spotify si trova in una scomoda posizione. Perdere un’artista come Neil Young è già abbastanza dannoso. Da solo infatti era in grado di portare centinaia di milioni di ascolti. Se dovesse susseguirsi un effetto domino, potrebbe risultare molto dannoso per l’organizzazione svedese. In ballo ci sono troppi interessi, sia da parte della piattaforma, che non è incentivata nel limitare i contenuti di Joe Rogan, sia perché perdere artisti chiave potrebbe essere vantaggioso per i competitor. Però, come riporta Metal Italia, tra Spotify e Joe Rogan ci sarebbe un contratto della cifra capogiro da 100 milioni di dollari, con il podcast che conterebbe 11 milioni di ascoltatori ad episodio. L’età media degli ascoltatori sarebbe di 24 anni, l’età più esposta ai danni della disinformazione.

La caparbietà dei due artisti, uniti nel fronte della protesta è facilmente riconducibile da una caratteristica comune, che giustificherebbe ancora di più la polemica contro il colosso dello streaming. Entrambi infatti si sono ammalati di poliomielite negli anni ’50, prima che venisse sviluppato un vaccino. La loro uscita da Spotify è un danno economico per le loro casse: secondo quanto riferito da Forbes, rinuncerebbero ad un 60% di entrate. Idealisti della vecchia guardia, possono riservarsi il diritto di fare da leader nella protesta contro la piattaforma e il podcast. Attualmente il fronte degli artisti non è coeso, specie tra gli artisti più giovani, perché rinunciare alla presenza sulla piattaforma potrebbe voler dire rinunciare ad entrate importanti.

Nessun controllo nei podcast

A fare una considerazione più ampia molte altre piattaforme, anche social, “tollerano” seppur entro certi limiti la presenza di materiale complottista. Ma se da un lato Spotfiy, come riporta The Verge, si cela dietro ad una policy non infranta dal podcast di Joe Rogan, dall’altra molte piattaforme quando vengono condivise fake news, mostrano un alert in cui la notizia viene evidenziata come falsa in quanto analizzata da fact checker. Cosa che non accade durante i podcast: chiunque può esporre la propria opinione, seppur delirante, senza alcun controllo.

Va anche detto però che, secondo quanto riferito dalla piattaforma stessa, dall’inizio della pandemia sono stati rimossi 20.000 podcast. Questo non è stato sufficiente a placare l’ira del rocker statunitense, che in un post si è augurato che altri artisti seguano il suo esempio, affermando che musicisti e le case discografiche rimanendo su Spotify supportano la condivisione di disinformazione sulla Covid-19.

Cosa è stato detto nel podcast di Joe Rogan

Il 31 dicembre 2021, in una puntata del Joe Rogan Experience, è stato invitato il Dr Robert Malone. Secondo il Dr Malone gli ospedali americani avrebbero ricevuto incentivi economici per diagnosticare false morti da Covid-19. Non sarebbe la prima volta che il controverso dottore espone tesi a dir poco strampalate. Infatti, le sue teorie gli sono valse una sospensione da Twitter, come riportato in una lettera indirizzata a Spotify e firmata da 270 medici ed esperti di salute statunitense, condivisa anche sul sito di Joni Mitchell.

Proseguendo nella lettura della lettera, si legge che nel podcast Joe Rogan avrebbe scoraggiato la vaccinazione nei più giovani e affermato erroneamente che i vaccini mRNA sono “terapia genica”. Inoltre ha promosso l’utilizzo dell’ivermectina per trattare la Covid-19 (un antiparassitario, e dunque inefficace). Non solo. Sempre nell’episodio con ospite il Dr Robert Malone, costui avrebbe continuato nel condividere deliri, adducendo ad una teoria secondo cui alcuni leader sarebbero ricorsi ad una sorta di ipnosi sul pubblico, oltre a paragonare le polemiche sulla pandemia all’Olocausto.

Spotify, il titolo è volatile

Un messaggio che non sarà di certo ignorato dagli investitori, specie da quando dall’inizio del nuovo anno, il titolo della piattaforma ha perso ben il 25% del valore. E siamo solo a gennaio. Solo l’anno precedente, ha perso ben il 45% del valore.

Fasi delicate insomma per il servizio musicale svedese, con un titolo in borsa altamente volatile e Amazon Music ed Apple Music che guardano interessate alla protesta degli artisti e degli scienziati. Intanto tra i musicisti nostrani, l’unico ad aver avuto il coraggio di sbilanciarsi è stato Jovanotti, che assume toni distensivi nei confronti di tutti. O quasi. In un tweet dice di essere fan di Neil Young e di Joni Mitchell, ma di trovare interessante anche Joe Rogan, precisando però che certi contenuti andrebbero ascoltati con la testa. Si scaglia però contro gli algoritmi di Spotify, che sarebbe più un editore con contenuti scelti appositamente.

Interessanti alcune risposte di alcuni follower del cantante italiano. Tra un sarcastico commento “ecumenicamente democristiano” un medico gli risponde in modo eloquente: alcune scelte possono influenzare l’outcome di qualcun altro, un dettaglio non trascurabile.

Rimuovere o limitare il podcast di Joe Rogan potrebbe dunque essere preso dagli attivisti no-vax e da complottisti come una censura. Una censura che potrebbe salvare vite, certo, ma anche per questo motivo potrebbe essere utile che Spotify pensasse ad un sistema che se non inibisca la diffusione di falsità, almeno inventi un sistema che possa confutarle, come già hanno fatto i vari social media. E va fatto in fretta: borsa, investitori e artisti, ma anche diversi utenti, stanno a guardare, alcuni anche con la bava alla bocca. E quel che vedranno sarà una scelta sì: ma non condizioneranno l’outcome di qualcuno, ma la sopravvivenza della piattaforma stessa.

Sulla copertina Twitter di Spotify si legge un claim: Listening is everything. Se da una parte sembra non ascoltare le richieste di scienziati e di alcuni artisti nel prendere provvedimenti contro il podcast, allo stesso modo Spotify sembra non voler ascoltare (o far finta di non ascoltare) i contenuti controversi del podcast di Joe Rogan. Se ascoltare è davvero tutto, ci sarà un elemento che sposterà gli equilibri della vicenda. Ovvero la convenienza. Tra perdita di valore, di artisti e di contratti milionari, quale sarà la scelta meno dannosa economicamente? Qualunque essa sia, sarà quella che la piattaforma svedese starà ad ascoltare. Spotify intanto spera che la vicenda non le scoppi in mano, con il rischio di diventare sorda.

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Giornalista pubblicista, SEO Specialist, fotografo. Da sempre appassionato di tecnologia, lavoro nell'editoria dal 2010, prima come fotografo e fotoreporter, infine come giornalista. Ho scritto per PC Professionale, SportEconomy e Corriere della Sera, oltre ovviamente a Smartphonology.