Più volte nel corso dei mesi ci siamo interrogati sulla sostenibilità della tecnologia e del digitale. Non solo la realizzazione di un prodotto tecnologico come uno smartphone grava sull’impatto ambientale, ma anche il suo utilizzo e l’errato smaltimento che può avvenire al termine del ciclo vitale. Per aiutare l’ambiente, si può ad esempio comprare un prodotto come uno smartphone ricondizionato. Il mercato degli smartphone nuovi quest’anno ha visto un rallentamento, diversamente quello dei telefoni rigenerati è cresciuto del 15%. Anche se l’acquisto non sempre può valerne la pena, almeno economicamente, a livello ambientale la rigenerazione può essere fondamentale. e insieme al passaporto digitale dei prodotti, si può risparmiare l’equivalente di 150 miliardi di m3 di gas russo. A rivelarlo il Presidente di Netcomm, Roberto Liscia.
La rigenerazione farebbe risparmiare 150 miliardi di m3 di gas naturale
Il mercato europeo della rigenerazione nel 2030 potrà valere fino a 100 miliardi di euro, con la possibilità che vengano creati circa 500 mila nuovi posti di lavoro. Questo porterebbe ad un risparmio di 21 mègaton di emissioni di anidride carbonica. Il nuovo quadro regolamentare proposto a livello europeo e il passaporto digitale dei prodotti, potrebbero portare entro il 2030 al risparmio di 150 miliardi di metri cubi di gas naturale. Queste le previsioni della Commissione Europea, le quali potranno avverarsi grazie all’incentivazione della produzione eco-compatibile dei prodotti dell’economia circolare. Il valore è pari quasi all’importazione di gas russo nell’UE.
Il settore ICT rappresenta dal 5% al 9% della domanda di elettricità totale, con data center, dispositivi digitali e infrastrutture digitali che richiedono sempre più materiali ed energia. Ma la percentuale, secondo quanto riferito da Enerdata, potrebbe arrivare fino al 20% entro il 2030. Benché tecnologia e digitale siano assetati di elettricità e materie, sono allo stesso tempo fondamentali per ridurre l’impatto ambientale, attraverso processi e prodotti in un’ottica sempre più sostenibile e di rigenerazione.
Intervenuto all’evento “Italia e Francia unite per uno sviluppo sostenibile” tenutosi nei giorni scorsi a Milano, il Presidente di Netcomm Roberto Liscia ha condiviso una stima secondo cui fino all’80% dell’impatto ambientale di un prodotto viene determinato in fase di progettazione. Ecco perché secondo le dichiarazioni di Liscia, occorre garantire la sostenibilità e la circolarità dei prodotti. Il fine è ridurre l’impatto ambientale nel suo complesso, a partire dall’approvvigionamento delle materie prime. Il Presidente di Netcomm suggerisce l’impiego della stampa 3D, che potrebbe offrire interessanti prospettive per soluzioni sempre più “bottom-up”.
Il mercato della rigenerazione potrebbe crescere a 100 miliardi di euro
La rigenerazione dei dispositivi potrebbe portare una riduzione della domanda di nuovi prodotti, risparmiando energia e materiali. Il mercato europeo della rigenerazione è attualmente valutato 30 miliardi di euro, secondo Netcomm. Una cifra importante ma che è solo del 2% rispetto al settore manifatturiero. Ma potrebbe crescere fino a 100 miliardi di euro nel 2030, con 500 mila nuovi posti di lavoro e il risparmio di 21 mégaton di emissioni di anidride carbonica.
Il passaporto digitale dei prodotti (che ricorda Eco-Rating)
Il 30 marzo 2022 la Commissione Europea ha proposto un nuovo regolamento europeo sulla progettazione eco-compatibile di prodotti sostenibili (intanto è stato approvato il caricabatterie universale) secondo cui verrà consentita una migliore circolarità, le prestazioni energetiche e altri aspetti di sostenibilità ambientale dei prodotti dell’UE. La proposta che potrebbe portare ad un passaporto digitale dei prodotti, sarà utile a fornire informazioni sulla sostenibilità ambientale dei dispositivi, al fine di consentire ai consumatori di scegliere in maniera consapevole l’acquisto di un determinato prodotto. Questo faciliterà riciclo e riparazione, con una migliore trasparenza delle indicazioni riguardo al ciclo di vita e al suo impatto ambientale.
Intanto produttori e compagnie telefoniche si sono già attivate, tempo fa, con l’istituzione di Eco-Rating, un consorzio il cui scopo è di rendere note al consumatore informazioni attendibili sull’impatto ambientale, dalla produzione, dell’uso, del trasporto e dello smaltimento degli smartphone.
L’esempio Fairphone
Ma è sufficiente tutto questo a ridurre l’impatto ambientale? Aziende come Fairphone (che abbiamo intervistato qui), realtà olandese che produce “smartphone etici”, con Fairphone 4 (primo smartphone modulare 5G) ha aumentato la facilità di riparabilità del proprio dispositivo, inoltre ha pensato ad un modello di business indirizzato al noleggio del dispositivo, sempre per gravare meno sull’ambiente. La rigenerazione non è l’unico stratagemma per un risparmio in termini di emissione. Aumentare il ciclo di vita del dispositivo è un altro aspetto da non sottovalutare, ma che è spesso ostacolato in molti modi. Le batterie non sono più facilmente sostituibili in autonomia, così come riparare un prodotto dopo un danneggiamento (benché si possa sottoscrivere un’assicurazione).
L’ostacolo aggiornamenti di sicurezza
Gli aggiornamenti di sicurezza di Android e del sistema operativo, in media terminano dopo due o tre anni. Questo rende i telefoni esposti a gravi problemi di sicurezza, che ne sconsigliano l’impiego per utilizzi alternativi dopo averli sostituiti con un prodotto nuovo. Alcune società di sicurezza consigliano l’acquisto di un prodotto nuovo, oppure l’installazione di un’app di sicurezza. Aumentare la durata degli aggiornamenti aumenterebbe sì la vita di un prodotto risparmiando materie prime. Ma è anche vero che si innescherebbe un paradosso: allo stesso tempo ne allontanerebbe la rigenerazione e di conseguenza il risparmio di materie prime, alimentando un circolo vizioso. Inoltre, chi acquista un dispositivo rigenerato, la cui data di immissione sul mercato risalirebbe a diverso tempo addietro, potrebbe non ricevere patch di sicurezza e aggiornamenti sul sistema operativo, esponendolo a potenziali problemi di sicurezza. Un bel problema, considerando che i mobile malware sono sempre più subdoli e in netto aumento.
Le difficoltà della rigenerazione
Alcuni produttori come OPPO e Apple, vendono smartphone ricondizionati su piattaforme proprietarie. Alcune compagnie invece, si basano sul reperimento dei dispositivi degli utenti, i quali possono far valutare il proprio dispositivo per la vendita, la cui somma ottenuta potrebbe essere reinvestita sul prossimo device. Tuttavia, almeno in Italia, vendere uno smartphone usato è una vera e propria barriera. Sebbene il 72% degli italiani, secondo una ricerca di Kantar, considererebbe l’acquisto di un device online, il 23% dichiara di non essere interessato a venderlo. Il 12% degli intervistati ha dichiarato di aver venduto un vecchio smartphone, ma il 66% ha riferito di aver preferito la conservazione e il non utilizzo come telefono di scorta, in caso di malfunzionamento o danneggiamento del nuovo. Ciononostante, il 32% degli intervistati ha dichiarato di non aver mai avuto la necessità di utilizzarlo. Secondo la ricerca, condivisa da Swappie, la maggior resistenza alla vendita del proprio device è concentrata nelle regioni del centro-sud e appartengono ad una fascia d’età che parte dai 45 anni e oltre.
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